Pierre Gramegna Radio Rai 3 interview (Italian version)
Trascrizione dell' intervista a Pierre Gramegna, amministratore delegato del MES
Radio Rai 3, 31 Maggio 2025
Intervistatore: Pietro del Soldà
Lingua originale: Italiano
Rai 3: Signor Gramegna, benvenuto a Torino al programma radio di Rai 3 “Tutta la città ne parla” diretto dal Collegio Carlo Alberto. Abbiamo parlato di politica, nazionalismo. Il nazionalismo, una scelta politica che noi a volte chiamiamo anche sovranismo, è tecnicamente un errore. Cioè è una posizione politica che vince le elezioni ma dimostra di essere un errore, un errore anche per chi lo esprime convintamente, perché è destinato a impoverire, a peggiorare la qualità della vita.
Pierre Gramegna: La ringrazio per avermi invitato. Vorrei dire che l'Europa non solo rende importante il nostro continente, ma ci dà anche tante cose. Guardiamo che cosa è successo nell'ultima crisi. La crisi Il finanziario del 2009-2010, abbiamo avuto una risposta europea. Covid. Abbiamo avuto il Next Generation EU, il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). L'Italia ha ricevuto [circa] €200 miliardi su €800 miliardi. Lo dobbiamo ripetere, è stato un atto di solidarietà mai visto. Se mi avessero chiesto prima, se fosse stato possibile, avrei detto: no, si starebbe andare troppo lontano.
È una cifra che spiega l'andamento positivo del bilancio italiano di questi anni, altro argomento del giorno che non si può capire senza questi dati.
Ovviamente ha aiutato. E allora la cosa che ci si può aspettare è che venga riconosciuto il ruolo che l'Europa ha giocato, invece di insistere sempre che andiamo avanti troppo lentamente. È vero che essendo in 27, si debba negoziare, però sappiamo che cosa abbiamo bisogno di fare. Ce lo dicono i rapporti di Enrico Letta e quello di Mario Draghi che questa è la strada giusta per avere più investimenti, più crescita. Perché per finanziare le pensioni, per finanziare il nostro benessere, ci vuole crescita. La nostra crescita è troppo debole e se non facciamo questo sforzo insieme, se ognuno lo fa per conto proprio, perderemo gran parte del mercato unico che già abbiamo, ma che dobbiamo proprio modernizzare.
Un ultimo esempio. Abbiamo parlato brevemente di difesa. È chiaro che abbiamo bisogno di spendere di più in difesa. Quasi tutti i Paesi europei adesso dicono “Sì, lo facciamo”. Lo facciamo non solo perché la Nato ce lo chiede, Presidente Trump ce lo chiede, ma lo dobbiamo fare per proteggere noi stessi. Punto numero uno. Punto numero due, che] ancora non è chiaro [a tutti], ora dobbiamo fare sul serio. Non basta che la Germania annunci €500 miliardi per la difesa. Spero che una parte di questo sia collegata, coordinata con altri che metteranno anche loro soldi. Se non lo facciamo insieme, il nostro sforzo e l'incremento di difesa e anche dell'economia, sarà poco rispetto a quello che sarebbe se lo facessimo insieme.
Lei è d'accordo con il governatore di Banca Italia Panetta che su questa questione prende le distanze in qualche modo dalla Commissione, da Ursula von der Leyen, esplicitando la necessità di un'emissione di titolo comune, di debito comune per finanziare questo progetto e non ciascuno con i soldi propri?
Allora qui di nuovo è tipicamente europeo. Cerchiamo di trovare abbastanza soldi. Ma la prima cosa che dovremmo dire, e lo dobbiamo dire insieme, è come lo facciamo insieme. Sappiamo che metà dei Paesi non sono d'accordo con gli Eurobond; quindi, infilare questa discussione da quel lato non è la strada migliore. [che vogliamo fare] insieme, vogliamo sviluppare i droni europei più efficaci di quelli degli americani e dei cinesi? Abbiamo un progetto concreto? [Dopo] troveremo i finanziamenti, anzi una grande parte dei finanziamenti sta arrivando dai privati.
Io mi ispiro molto alla Banca Europea di Investimento, che è una banca con una success story incredibile. Lì i Paesi hanno messo nel 1958 un capitale iniziale che questa banca fa fruttare e con questo finanzia tantissimi progetti. Io voglio parlare di come finanziare questa difesa comune. Ci saranno metodi molto interessanti, penso all'ESA, European Space Agency, anche lì c'è un modello molto interessante. E si, ci devono essere anche soldi dello Stato. Troviamo una maniera di combinare le due cose. In altre parole, insistere su una maniera di finanziamento come l'Eurobond, che è da 10, 20 anni che se ne parla, non mi pare saggio.
L'obiettivo mi sembra sempre più chiaro: se la difesa, come tante altre cose, anche l'economia, la vogliamo fare ognuno per conto proprio, quando dall'altra parte dell'Atlantico c'è qualcuno, o un Paese, che non crede più o che destabilizza l'ordine mondiale che abbiamo conosciuto, che non vuole più multilateralismo? Questo mi pare il fattore più motivante per andare adesso avanti insieme e mettere tutto sul tavolo evitando disaccordi, perché se ognuno dice “Io questo non lo faccio”, e un altro dice “Io quest’ altro non lo faccio”, ovviamente si blocca tutto dall'inizio. Dobbiamo camminare insieme.
Devo farele un'altra domanda, perché lei è in Italia e lei è il direttore del MES. Quell'acronimo è stato soprattutto in passato al centro di furibonde polemiche politiche, MES sì, MES no. Spesso se ne parlava e si inseriva così nel dibattito questo acronimo senza conoscerne il significato. È un caso italiano. Come lo giudica da direttore di uno dei tanti strumenti di salvataggio della stabilità finanziaria dell'Unione Europea, in un contesto di tensioni mondiali? Come giudica questa storia italiana rispetto a questo?
Prima di tutto, per essere chiaro, quello che l'Italia non ha ratificato è un emendamento. Perché ci sono tante persone che pensano che il MES non esista o non possa funzionare perché l'Italia non ha ratificato. L'Italia ha ratificato il MES, è un membro del MES, il terzo Paese più grande con 17% del capitale. La conseguenza diretta di questa [non-ratifica] è che questo ammendamento non entra in operazione, che vuol dire che se ci sono problemi per le banche europee - c'è un fondo di risoluzione delle banche di €80 miliardi che è stato alimentato da un contributo delle banche - ci sarebbero stati €68 miliardi nel MES pronti ad essere aggiunti come aiuto aggiuntivo alle banche. Anche questo, se dovesse essere implementato, lo dovrebbero rimborsare le banche. In altre parole, questo meccanismo, che esiste da tanti anni, fa sì che non è il contribuente italiano, o europeo, che deve salvare le banche, ma lo devono fare le banche stesse. Questo aiuto da parte del MES non è possibile finché l'Italia non ratifica [l’emendamento].
La seconda conseguenza è che l'Italia su questa questione sta bloccando gli altri Paesi, in questo caso dell'euro - perché il MES è solo per i Paesi che hanno la moneta comune – il che significa che su altri temi, dove l'Italia spinge, per esempio, abbiamo parlato degli Eurobond, ma potremmo parlare dell'Unione per gli investimenti e i risparmi, l'Italia spinge abbassare l’asticella. E allora su altre questioni un Paese come la Germania dice: ratifica questo trattato e c'è buona volontà da tutte le parti. E come dicevo prima, con quello che sta succedendo oltre l’Atlantico, ma non solo oltre l’Atlantico, viviamo in tempi in cui il multilateralismo soffre, punto numero uno.
Due, ci sono i conflitti mondiali, ce ne sono più di 50, non solo Gaza e l'Ucraina dei quali parliamo sempre, ma ce ne sono sempre di più. E, terzo, e questo puntolo dobbiamo dire, non solo in tutti i Paesi d'Europa, nelle elezioni recenti, l'estremismo, cioè i partiti nazionalisti, stanno diventando sempre più forti. Questo deve interpellare tutti noi e farci convincere che la strada giusta, e la più efficace, è la strada europea, fare le cose insieme. Che cosa volete che faccia l’Olanda, il Belgio o il Lussemburgo, anche insieme nelBenelux? Che cosa volete che faccia l'Austria da sola? Non dico i Paesi più grandi, neanche loro non ce la fanno da soli. Cioè siamo in un momento storico in cui abbiamo questi rischi di nazionalismi su tutta l'Europa, il che ci deve spingere ad agire insieme.
Il presidente Mitterrand, nel 1993, al Parlamento Europeo a Strasburgo, ha detto una frase molto semplice. Se non ci avete mai pensato, rifletteteci: “Il nazionalismo è la guerra!”